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Come si comunica una Università?

23-02-2021 21:45

Chiara Santato

Parliamo con, comunicazione, Padova, Università, ufficio stampa, Menaldo, Covid,

Come si comunica una Università?

Abbiamo chiesto a Carla Menaldo, responsabile dell'Ufficio stampa dell'Università di Padova, di raccontarci...

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L'Università degli Studi di Padova è una delle più prestigiose in Italia e nel mondo. Alle spalle ha una storia lunga più di 800 anni, ricca di personaggi e vicende che l'hanno resa uno dei volti più rappresentativi del sapere. E la pandemia ha reso questo punto più che mai evidente: tanti esperti che stanno lavorando per la risolvere il contagio da Covid19 sono docenti dell'Università di Padova. Abbiamo chiesto a Carla Menaldo, responsabile dell'Ufficio stampa di questa istituzione, di raccontarci di cosa si occupa e cosa è cambiato nell'ultimo anno.

 

Se ne sente parlare spesso ma cos’è e di cosa si occupa un ufficio stampa? E in particolare, cosa significa essere capo ufficio stampa di una Università come quella di Padova?

 

L’Ufficio stampa si occupa di “tradurre” la vita di una azienda o di una istituzione ai cittadini. Ovvero: è il tramite tra ente e/o azienda e i mezzi di informazione che si rivolgono poi al grande pubblico. La legge 150/2000 istituisce gli Uffici Stampa degli enti pubblici, a garanzia di una comunicazione etica (vi lavorano giornalisti che rispondono alle norme

deontologiche della categoria) e trasparente. Gestire l’informazione verso i media di una grande Università come è quella di Padova significa occuparsi di ricerca – praticamente di tutti gli ambiti -, contribuire a creare reputazione e posizionamento sociale e culturale, diffondere saperi e soprattutto comunicare a che punto è la formazione accademica, quello che si fa in termini di servizi agli studenti, sviluppo, innovazione, sostenibilità e politiche di inclusione.

Con quali attori vi confrontate normalmente? È complesso raccontare un’istituzione?

 

I nostri interlocutori interni sono la Governance di Ateneo e il corpo docente in qualità di “produttore di sapere”, ovvero fucina di innovazione e nuove frontiere della scienza. Gli interlocutori esterni sono i colleghi giornalisti che raccontano ai cittadini il mondo complesso, veloce e spesso affascinante dell’università. Raccontare una istituzione è sempre difficile; in essa infatti convivono molte anime e non sempre in coesistenza pacifica, perché i progressi della scienza sono in gran parte dovuti a posizioni differenti in costante dialettica tra di loro.

L’Università inoltre è un importante soggetto di dialogo col territorio, con altre istituzioni, con la politica, tutti aspetti particolarmente delicati e in continuo mutamento.

L’avvento dei social ha cambiato il tuo modo di lavorare? 

 

In modo radicale. Non possiamo più prescindere dai social per la comunicazione, sono da un lato una cassa di risonanza vastissima, dall’altro un veicolo particolarmente pericoloso in quanto non risponde a nessuna garanzia di attendibilità, aderenza ai fatti, né rispetta le norme deontologiche in termini di informazione, diritto di cronaca, tutela della privacy etc.

Se usati in modo attento e sapendo distinguere chi dice cosa e come lo dice sono un modo veloce per raggiungere il pubblico più giovane. La comunicazione dell’Università quando scende in rete ha un compito essenziale: abituare le persone a distinguere le fonti attendibili da quelle che non lo sono, le cosiddette fake, ponendosi come voce autorevole garantita dalla serietà del metodo scientifico e dall’autorevolezza di una istituzione di prestigio.

Noi non vendiamo un prodotto, noi creiamo cultura e formazione.

Come è cambiata la tua vita professionale con il Covid? E come hai visto cambiare la comunicazione?

 

Come è cambiata quella di tutti, con l’azzeramento degli eventi in presenza e una prevalenza dello smart working che, se da un lato ha indubbie comodità, dall’altro crea un isolamento che poco giova agli aspetti più interessanti dell’informazione, quelli che ti portano a vivere sul campo, alla imprescindibile relazione con le persone, perché il mestiere dell’addetto stampa è anche quello di tessere rapporti importanti con i pubblici influenti: il corpo docente, i rappresentanti delle istituzioni sul territorio, i colleghi giornalisti. Conoscere, informarsi, avere il polso di ciò che accade o sta per accadere, confrontarsi con le opinioni di molti è un lato fondamentale di questo lavoro.

L’Università di Padova da sempre si distingue per la grande competenza in area medico-scientifica. E tu hai conseguito un Master proprio in Comunicazione Scientifica. Che fotografia si può scattare sulla comunicazione scientifica italiana, secondo te? Questo anno di Covid ha spinto a dei cambiamenti? O c’è qualcosa che secondo te dovrebbe cambiare?

 

Ho seguito la comunicazione scientifica di area medica molto da vicino fin dall’inizio di questa pandemia, in stretta collaborazione con l’Ufficio Stampa dell’Azienda Ospedale di Padova, integrando passo passo la parte più strettamente di ricerca con quella clinica dell’assistenza. Una collaborazione che ci ha portato a gestire l’informazione in modo coordinato, costante e autorevole.  CI siamo trovati “tra le mani” alcuni scienziati particolarmente attivi sul fronte del Covid-19, da Andrea Crisanti ad Antonella Viola, solo per citare due punte, e a gestire il loro rapporto mediatico con una presenza costante che li ha visti e li vede tutt’oggi scontrarsi spesso nell’agone pubblico con pensieri differenti, con posizioni politiche che tirano la giacca alla scienza per avere le risposte che paiono più opportune a seconda dei settori di cui si discute, dalla salute pubblica all’economia. Il compito dell’Ufficio stampa è quello di garantire ai cittadini, attraverso i media, l’accesso alle diverse posizioni accademiche nel rispetto della verità scientifica, in un contesto di dialogo a più voci ognuna a suo modo autorevole nel proprio ambito di riferimento.

 

Detto semplicemente, dobbiamo tenere la barra dritta, offrendo a ricercatori e clinici opportunità serie di fare divulgazione, valutando di volta in volta i contesti mediatici più efficaci.

Purtroppo non tutto è informazione: i salotti televisivi si prestano più all’infotainment che all’informazione, ovvero a un uso delle notizie che è intrattenimento e segue le linee di regia di questo o quell’editore piuttosto che l’aderenza ai fatti. Insomma, la pandemia ha offerto un motivo in più – forse ora il solo motivo – per fare audience giocando sul dibattito, sull’opinionismo indifferenziato, sul sensazionale. Ecco, evitare quanto più possibile di esporre gli scienziati ad un uso improprio del loro sapere e aiutarli a scegliere spazi mediatici di informazione seria è un compito importantissimo dell’addetto stampa in questo particolare momento, come in ogni frangente che abbisogni di gestire una crisi.

Che cosa dovrebbe cambiare? Farei sparire tutti i programmi-contenitori che vanno bene per la politica ma non sono per nulla adatti alla scienza, che filtrerei solo attraverso strisce di informazione quali i tg o i programmi di approfondimento di adeguato livello.


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